Che cos’è il gender pay gap?

La sua definizione è “la differenza tra lo stipendio medio degli uomini e quello delle donne che svolgono un lavoro dipendente”.

Dove e perché nasce questa differenza? Alcuni elementi tipici del contesto italiano certamente contribuiscono a penalizzare il lavoro femminile e la valorizzazione della sua retribuzione:

La scelta dei percorsi di studio. Abbiamo già visto, in un altro articolo, come gli stereotipi di genere influenzino diversamente ragazze e ragazzi nella scelta del percorso di studi: se gli studi umanistici vedono la partecipazione di oltre l’80% di donne, nei percorsi cosiddetti “STEM” (Science, Technology, Engineering, and Mathematics) la presenza femminile si attesta intorno al 25%. Ma

“la polarizzazione del lavoro e la crescente domanda di professionisti in ambito digitale e tecnologico implicano la crescente necessità di competenze che si ottengono prevalentemente nei percorsi STEM. L’autoesclusione sistematica delle ragazze da queste discipline è quindi un fattore che potenzialmente incrementerà la disoccupazione femminile e il gender pay gap di domani.”

La qualità dell’occupazione femminile. Pur partendo da un dato confortante (il tasso di inattività delle donne è in calo costante dal 2004) rimane il fatto che fino a prima della pandemia:

  • l’occupazione femminile toccasse il 50% (contro il 68% di quella maschile)
  • la disoccupazione femminile fosse al 11% (contro il 9% di quella maschile)
  • l’inattività (donne che non lavorano e non sono alla ricerca di un lavoro) fosse al 43% (contro il 25% di quella maschile).

L’arrivo della pandemia ha poi fatto parlare di “she-cession” (recessione femminile) poiché ha impattato prevalentemente sulle lavoratrici, con un aumento del tasso di inattività femminile di quasi il 2% in un solo anno.
Le donne, insomma, continuano a essere meno occupate e a fare più fatica a trovare lavoro, in un contesto pesantemente aggravato dalla pandemia del 2020.

Il lavoro di cura non retribuito. L’onere di doversi occupare della famiglia (figli, genitori anziani, familiari fragili…) come abbiamo già visto ricade principalmente sulle donne:

“Le donne italiane passano in media oltre 5 ore al giorno ad occuparsi del lavoro di cura, mentre gli uomini arrivano a poco più di 2”.

Questo fattore, che ha una forte componente culturale e stereotipata, allontana le donne dal mondo del lavoro o le costringe a lavorare meno ore degli uomini.

Il part time involontario. Si parla sempre più di part time involontario, ovvero di un’organizzazione oraria imposta dalle aziende più che richiesta dalle lavoratrici, una condizione di svantaggio continuo che non permette di equiparare l’occupazione femminile con quella maschile in termini di ore lavorate complessivamente: nel 2019 il part time femminile sfiora il 35%, contro il 9% dei part time maschili.

Quindi?

Nel 2021 il divario retributivo di genere è individuato all’11,2%, quasi l’1% in più rispetto al 2020.
È come se, almeno per questo 2023, le donne iniziassero a guadagnare a partire dall’11 febbraio pur avendo lavorato dal primo gennaio.

Alcuni elementi che caratterizzano nello specifico il gender pay gap in Italia:

  • l’istruzione: il divario tra le retribuzioni degli uomini e delle donne cresce enormemente confrontando il gruppo delle persone non laureate (8,4 per cento) e quello delle persone laureate (22,5 per cento).
  •  la carriera: oltre alla cosidetta “segregazione verticale” (il soffitto di cristallo) e a quella “orizzontale” (ovvero la concentrazione femminile in alcuni settori o aree dell’azienda come l’amministrazione o le risorse umane), la “penalità” legata alla maternità viene stimata nel -53% del salario prima della gravidanza a 15 anni dalla maternità. Senza contare che questi effetti non saranno mai osservabili tra i padri.
  • la segregazione orizzontale, ovvero il settore in cui si lavora. I lavori di cura, tradizionalmente affidati alle donne e tradizionalmente tra i lavori con gli stipendi più bassi, ne sono un esempio.

Le conclusioni sono abbastanza sconfortanti: le donne devono prendersi cura più degli uomini di casa e famiglia, lavorano meno, non scelgono autonomamente il part time, le loro carriere non evolvono in maniera naturale come per i colleghi maschi e a parità di ruolo vengono pagate meno. Nonostante questo sarebbero disposte a rinunciare a una parte del proprio stipendio, spesso già inferiore a quello degli uomini, a fronte di una maggiore work/life balance. Perché?

“le scelte lavorative delle donne sono viziate da una discriminazione che opera nei loro confronti su tutti gli aspetti della vita economica e sociale.”

Questo significa che anche i fenomeni del gender pay gap e più in generale del divario di genere sono l’esito di fattori culturali molto radicati e difficili da eliminare poiché richiedono una profonda trasformazione dei modelli sociali circa il ruolo della donna.

 

*Per tutte le citazioni: JobPricing, Gender Gap Report 2022


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