“L’uomo è definito come essere umano e la donna come femmina; ogni volta che si comporta da essere umano si dice che imiti il maschio”.
Simone de Beauvoir, Il secondo sesso (titolo originale, Le Deuxième Sexe, 1949)

 

L’Italia è penultima in Europa per partecipazione femminile al mercato del lavoro. Peggio di noi fa solo la Grecia. Solo una donna su due in età lavorativa è attiva e solo il 28% delle posizioni dirigenziali nelle aziende private italiane è ricoperto da donne. Nelle coppie con figli e in cui entrambi i partner lavorano, le donne dedicano in media il 22% del proprio tempo al lavoro familiare, mentre per gli uomini la percentuale scende al 9%. Il 31,5% delle donne italiane tra i 16 e i 70 anni è stata vittima di violenza, le donne inoltre sono le principali vittime di tweet di odio. 326 mila dei 537mila tweet negativi del 2017-2018 sono contro le donne.

Anche la crisi causata dalla pandemia risulta dai primi dati essere “una crisi di genere”, sono infatti state le donne le prime ad averne subito i maggiori effetti sociali ed economici. La pubblicazione sui primi dati Istat, riferiti al mese di dicembre 2020, sono allarmanti. I numeri parlano infatti di 101.000 persone occupate in meno nell’ultimo mese dell’anno scorso rispetto al mese di novembre dello stesso anno, di cui 99.000 sono donne. Nel 2020 su 4 posti di lavoro persi 3 sono di donne.

Il problema non è solo l’accesso al mercato del lavoro ma anche le opportunità di carriera, in cui ancora una volta i numeri dell’Ispettorato del lavoro ci dicono che il 73% delle donne che lasciano volontariamente il mercato del lavoro lo fanno perché diventando madri non riescono a conciliare la quotidianità di questo ruolo con il lavoro. Quelle di noi che rimangono nel mercato del lavoro subiscono differenze di salario evidenti, rispetto ai colleghi maschi che svolgono le stesse mansioni e spesso subiscono una doppia segregazione, orizzontale e verticale: da un lato condannate a ruoli meno prestigiosi e retribuiti degli uomini (segregazione orizzontale) e dall’altro a vedersi ridotte al minimo le possibilità di ricoprire ruoli apicali(segregazione verticale).

Anche nell’istruzione le cose non vanno meglio e le ragazze sono segregate ad alcune discipline umanistiche e vittime del pregiudizio che le donne non siano portare per le materie tecnologiche e scientifiche, le uniche guarda caso che nella società contemporanea fanno girare l’economia, “quella che conta”, fatta ancora una volta soprattutto dagli uomini

È chiaro che avere poche donne al potere significa anche che alle donne è negato il potere di incidere a livello politico e culturale, unico modo per costruire una politica del lavoro paritaria che permetta una reale conciliazione vita-lavoro, in una società come la nostra dove la distribuzione dei ruoli di cura è ancora oggi sbilanciata a sfavore delle donne: come abbiamo già visto nelle coppie con figli in cui entrambi i partner lavorano le donne dedicano in media il 22% del proprio tempo al lavoro familiare, mentre gli uomini il 9%.

Questa palese segregazione si riflette anche nelle cooperative sociali? Guardando ai dati sull’occupazione femminile sembrerebbe di no: secondo l’ultimo rapporto dell’Alleanza cooperative italiane sulla presenza delle donne nella cooperazione (datato giugno 2016) il 73.7% delle cooperative sociali è composto da donne e risultiamo essere il primo settore per pratiche di flessibilità e conciliazione vita- lavoro, realizzate da più del 70% delle cooperative sociali italiane. Questo si può spiegare con il fatto che il nostro settore si occupa principalmente di progettazione e gestione di servizi socio-educativi-sanitari, servizi legati alla sfera della “cura”, nel nostro immaginario associata al mondo femminile. Ma cosa succede se guardiamo ai ruoli decisionali? I numeri, neanche a dirlo, cambiano: solo il 48% dei consiglieri di amministrazione infatti è donna e la percentuale scende al 26% nelle grandi cooperative. Nei ruoli apicali (direzione generale e presidente) i numeri scendono ancora e vediamo che il 23,9% sono donne, contro il 76,1% di uomini, e la percentuale scende ancora nelle grandi cooperative dove le donne rappresentano solo il 6,1% degli apicali.

Come la nostra cooperativa può promuovere un percorso di vero cambiamento culturale?
Da qualche anno stiamo riflettendo internamente su questi temi e c’impegniamo ad agire tutti, donne e uomini, verso un cambiamento sia strutturale che culturale. Oggi, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, condividiamo alcune di queste scelte, frutto del nostro percorso e della nostra storia:

  • Aver votato in Assemblea un Consiglio di Amministrazione interamente femminile, che rappresenta pienamente la nostra base sociale composta per l’80% da donne; questa scelta è stata appoggiata e votata da tutta la base sociale, uomini compresi. Per noi è importante sottolinearlo, perché un cambiamento culturale non è pieno senza il coinvolgimento degli uomini.
  • Anche i ruoli apicali sono presieduti per la maggior parte da donne, le direzioni di processo e di area infatti sono composte da 6 donne e un uomo, non per una logica di “quote rosa” ma per percorsi di carriera che valorizzano le competenze; nulla di strano che la maggior parte dei ruoli siano di donne, dato che come visto rappresentano l’80% della cooperativa.
  • La maggioranza dei nostri ruoli apicali è anche madre e per garantire pari opportunità di carriera promuoviamo orari flessibili e riunioni di lavoro in orari accessibili anche a chi ha figli piccoli, per esempio la mattina e il primo pomeriggio.
  • Allo stesso tempo promuoviamo la presenza di uomini nei luoghi tradizionalmente ad occupazione femminile, come gli asili nido. L’educazione dei bambini infatti non è solo una questione femminile e non può che arricchirsi di un punto di vista maschile. Una cultura delle differenze include tutti i punti di vista e ne valorizza le diverse competenze.
  • Tendiamo a un’organizzazione del lavoro flessibile, nei limiti del possibile. Il 70% dei nostri lavoratori è part-time, per andare incontro ad esigenze di conciliazione vita-lavoro.
  • Proprio perché convinti che il carico di cura dei figli e della casa sia una responsabilità di entrambi i partner, promuoviamo congedi parentali anche per i padri.
  • Utilizziamo dove possibile lo smart-working, consapevoli però che non è una risposta al problema di doversi prendere obbligatoriamente cura dei figli a casa, cosa che è successa ad esempio in piena pandemia con scuole chiuse e nonni impossibilitati per motivi di salute a farlo. Prendersi cura dei figli e contemporaneamente essere produttive al lavoro è più un’acrobazia che una soluzione.
  • Il linguaggio è lo specchio della cultura e allo stesso tempo le parole possono incidere sui cambiamenti culturali, per questo riflettiamo attentamente sulle parole e su un loro uso consapevole e condiviso.
  • Progettiamo nei nostri servizi laboratori sulle differenze di genere, consapevoli che una cultura della parità germoglia già dalla prima infanzia.
  • Abbiamo un servizio di mediazione linguistico-culturale, un luogo fondamentale per riflettere sul fatto che il genere non è un concetto univoco e monolitico ma è una questione culturale.

Queste sono solo alcune delle azioni che c’impegniamo quotidianamente a fare, il punto di partenza verso la costruzione di una cultura che promuova da un lato la parità dei diritti e delle opportunità e dall’altro la valorizzazione dei differenti saperi e delle diverse competenze, un orizzonte comune che ci coinvolge tutti, donne e uomini della nostra cooperativa.

 

Linda Croce
Presidente Azalea cooperativa sociale